Sei single? Sei multipla? Ti senti poco normale? I tuoi coninquilini/e sono diventati/e la tua famiglia? Quando il principe azzurro ti ha trovata sei corso a nasconderti meglio? ….
scarica il volantino compelto ti senti poco normale (PDF)
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Sabato 4 dicembre, ore 18.00
Cinema Nuovo Nosadella
Sabato 4 dicembre il festival Some prefer Cake ospita Judith Halberstam, una delle piu’ note teoriche queer a livello internazionale, per la presentazione di Maschilità senza uomini, primo libro che traduce in italiano alcuni dei suoi scritti sui modelli di maschilità femminile, a partire dalle drag king nel contesto angloamericano degli anni Novanta.
Con Judith Halberstam e Federica Frabetti
Maschilità senza uomini propone quattro scritti di Judith Halberstam, figura di riferimento degli studi queer angloamericani nota a livello internazionale e non ancora tradotta in Italia. Questa raccolta e’ un’eccellente introduzione al concetto di ‘maschilità femminile’ in tutte le sue sfaccettature teoriche, culturali e storiche, e … Mostra tuttopresta un’attenzione particolare al fenomeno delle drag king nel contesto angloamericano degli anni Novanta. Essa presenta inoltre i principali assi attorno ai quali si e’ sviluppato il pensiero di Halberstam in anni recenti, con lo spostamento del concetto di ‘queer’ al di fuori delle comunità gay, lesbiche e transessuali/transgender, e la sua estensione a soggetti politici che appartengono a culture caratterizzate da un’esperienza del tempo alternativa alle forme socioculturali dominanti, con implicazioni di estremo interesse per il contesto italiano. L’ultimo capitolo della raccolta, inedito anche negli Stati Uniti, propone alcune recentissime riflessioni sulle prospettive degli studi queer, tra cui una analisi politica
provocatoria e innovativa del concetto di fallimento.
Judith Halberstam e’ Professor of English, Gender Studies, American Studies and Ethnicity alla University of Southern California. È autrice di tre libri: Skin Shows (1995), Female Masculinity (1998),In A Queer Time and Place (2005); e’ co-curatrice diPosthuman Bodies (1995) e co-autrice di The Drag King Book (1999). Attualmente sta completando The Queer Art of Failure e sta lavorando a una nuova opera intitolata Bats.Federica Frabetti e’ Senior Lecturer in Communication, Media and Culture alla Oxford Brookes University. Ha pubblicato numerosi articoli in italiano e in inglese sullo studio culturale della tecnologia, sui nuovi media e sulla teoria queer e di genere.
Attualmente sta completando una monografia dal titolo Technology Made Legible: A Cultural Study of Software.
Judith Halberstam e’ una figura di riferimento degli studi queer angloamericani. Ha sviluppato il concetto di ‘maschilità femminile’ in tutte le sue sfaccettature teoriche, culturali e storiche e in particolare il fenomeno drag king nel contesto angloamericano degli anni Novanta. Uno sviluppo recente della sua riflessione e’ lo spostamento del concetto di queer al di fuori delle comunità LGBT e la sua estensione a una serie di soggetti politici appartenenti a culture caratterizzate da un’esperienza del tempo alternativa alle forme socioculturali dominanti.
http://www.women.it/cms/index.php?option=com_events&task=view_detail&agid=5698
Appunti su una città che torna indietro, solidali perchè
autogestione è resistenza e trasformazione
Cambia il protagonista, non la trama. Dallo sceriffo al commissario,
al cinema Bologna va in scena il solito vecchio film. Il Comune ha
deciso che l’esistenza dello spazio libero autogestito Vag61, da sei
anni in via Paolo Fabbri 110, ancora una volta debba essere messa in
discussione. Film già visto, questa volta tocca a Vag61 ma come
sempre
nel mirino non c’è solo questa o quell’altra esperienza: c’è
un’idea
e una pratica, una realtà ed un orizzonte. Per uno spazio che
quotidianamente produce cultura, libera socialità, elaborazione
politica ed informazione in questa città non c’è posto. O così
vorrebbero gli occhi bendati di chi l’amministra, naturalmente. Chi
la
vive, invece, sa che Vag61 e gli altri spazi autogestiti
rappresentano
una ricchezza, una via di fuga, una freccia all’arco del mutamento.
Sullo schermo scorrono scene già viste. Normalizzazione di tutto
ciò
che in città sfugge alla triste macchina del dominio, della
speculazione, dello sfruttamento. Espulsione, soprattutto dal salotto
buono del centro, di tutto ciò che sabota gli ingranaggi della
governance costituita e dissente dall’asfissia del pensiero unico.
Altre scene, in parte nuove, si aggiungono in questo periodo di tagli
indiscriminati alla cultura e ai servizi sociali. Dal Governo
all’amministrazione comunale si declina un disegno tanto semplice
quanto devastante: far pagare la crisi, fino all’ultimo euro e
all’ultima lacrima, a chi è più esposto e debole.
Sul piano della cultura, gli effetti sono sotto gli occhi di tutti.
L’impoverimento e l’appiattimento, a suon di decurtazioni e grandi
non-eventi, avanzano. Di fronte a questa realtà, ciò che gli spazi
autogestiti mettono in campo offre un porto franco che, pur restando
spesso giù dal palco dell’ufficialità, ricama un tessuto
insostituibile di produzioni, sperimentazioni, contaminazioni. Dentro
le mura degli spazi ma anche fuori, carburante di qualcosa di più
che
alternativo.
Per accorgersi delle rovine che stanno prendendo il posto dei servizi
socio-assistenziali, invece, bisogna addentrarsi tra le pieghe della
città perchè tutto sembra avvenire sotto una cortina di pura
omertà.
Il decentramento dei servizi e la gestione affidata alle Asp si sono
rivelati un fallimento, mentre proprio attorno a Vag61 si può
registrare cosa avviene quando i tagli passano dai freddi calcoli di
palazzo alla realtà quotidiana: chiude il Drop In di via Fabbri e si
stravolge la funzione del dormitorio di via Sabatucci, tanto per fare
due esempi. Discutere sui giornali del “piano freddo”, una volta
all’anno, proprio non basta.
A fare da set è una città che continuano ad alimentare di paura.
Tanto
dal centrodestra, che ripropone su scala locale il razzismo e
l’autoritarismo su cui costruisce le proprie basi il Governo. Tanto
dal centrosinistra, che dopo aver brandito selvaggiamente la clava
della legalità si è trovato con un sindaco inquisito ma prosegue
sulla
strada della “fermezza” nascondendo tutto sotto un tappeto di
primarie
e campagne elettorali. Non a caso ieri come oggi questa è la città
in
cui si protrae all’infinito la triste commedia della campagna
antigraffiti e si ripropongono le crociate contro i lavavetri, la
città del carcere più sovraffollato d’Italia e dei migranti prima
sfruttati e poi gettati in un Cie, degli sgomberi, del centro vietato
alle manifestazioni e della criminalizzazione del dissenso. La
città,
allo stesso tempo, degli eserciti di precari e dei licenziamenti, dei
posti di lavoro che svaniscono e del welfare tradizionale che mostra
tutta la propria inattualità, delle migliaia di famiglie sotto
sfratto
e degli immobili lasciati vuoti.
Navigando in queste acque agitate gli spazi autogestiti affiancano
alla promozione del conflitto sociale, leva indispensabile per
un’indispensabile trasformazione dell’esistente, la proposta di
progetti per sostenere i lavoratori colpiti dalla crisi, scuole di
italiano per migranti, corsi di formazione, palestre
popolari,sportelli o altre forme di autotutela, socialità
demercificata ed iniziative di solidarietà.
E’ questo ciò che si vorrebbe colpire. E’ questo che ancora una
volta
sfuggirà alla trappola senza sottrarsi alla sfida.
Vag61
Bartleby
Tpo
Xm24
Atlantide
Crash!
Circolo Berneri
Lazzaretto
Livello 57
Circolo Iqbal Masih
Nuova Casa del popolo di Ponticelli
Il 23 novembre Antagonismogay e Laboratorio Smaschieramenti hanno partecipato a un incontro al Liceo Sabin occupato in cui si è parlato di sessualità, orientamento sessuale, sessismo, omofobia e costruizione omofoba dell’identità maschile, oltre che dell’attività politica del laboratorio e del collettivo e dell’interesezionalità delle lotte lgbitq.
Significativamente, la discussione e la riflessione che abbiamo costruito insieme ai ragazzi e alle ragazze del Sabin su questi temi e sul modo in cui essi si articolano concretamente nelle loro e nelle nostre vite ha preso una piega diametralmente opposta rispetto taglio generico, paternalista e legalitario che la ministra Gelmini ha voluto dare alla famosa “Settimana contro la violenza“, indetta annualmente nell’intento di combattere, tra le altre cose, il bullismo omofobico nelle scuole.
Infatti, la “Settimana contro la violenza” ha avuto, a livello di cornice globale, un’impostazione estremamente generica, che tendeva a depoliticizzare la questione dell’odio e del pregiudizio nei confronti delle persone gay lesbiche e trans (o nei confronti degli altri soggetti individuati come potenziali vittime di questa non ben precisata “violenza” – migranti, credenti di altre religioni, disabili ecc.) riducendola a una semplice questione di “rispetto delle regole” e di disciplina.
Fortunatamente, questo non ha impedito che al suo interno trovassero spazio, grazie alle singole associazioni che hanno partecipato al bando, anche delle iniziative valide – tuttavia questo è il messaggio che la comunicazione istituzionale del ministero ha diffuso e promosso.
In ogni caso, qualche briciola di riconoscimento istituzionale tributato alle organizzazioni lgbitq per una settimana all’anno per un paio d’anni non ci fa certo dimenticare che questo stesso governo e questa stessa ministra stanno lavorando al totale smantellamento dell’istruizione pubblica per i prossimi dieci o vent’anni almeno.
Oggi è il 25 novembre, Giornata mondiale contro la violenza maschile contro le donne, ma in Italia sarà anche una giornata di mobilitazione contro la riforma Gelmini.
Sappiamo che solo in una scuola pubblica, laica, libera e democratica ci può essere spazio per criticare – come abbiamo fatto l’altro ieri al Sabin – la cultura patriarcale, virilista e omofoba che è alla base del sessismo e della violenza contro donne, lesbiche, gay, trans e queer. Inoltre ricordiamo che l’istruzione è uno strumento importantissimo nelle mani delle donne per opporsi e per sottrarsi alla violenza maschile in tutte le sue forme.
Per questo siamo con le studentesse e con gli studenti in lotta, e siamo noi stesse studentesse, ricercatrici, maestre, precari e precarie dell’educazione in lotta.
TRANSGENDER DAY OF REMEMBRANCE 20 NOVEMBRE 2010
(Giornata mondiale delle persone transessuali vittime di transfobia)
Sabato 20 Novembre ricorre il “Transgender day of Remembrance” (Giornata mondiale in ricordo delle vittime dell’odio e del pregiudizio contro le persone transessuali)
Dal 1999 le persone transessuali e non promuovono il 20 di Novembre una giornata di sensibilizzazione dell’opinione pubblica allo scopo di abbattere il muro di odio e di complice indifferenza presente nella nostra società verso le persone transgender.
Vogliamo ricordare che secondo i dati ufficiali tra il 2009 ed il 2010 sono state brutalmente uccise nel mondo 65 persone Transessuali, e che gran parte degli omicidi transfobici avvenuti negli ultimi 40 anni sono rimasti impuniti.
L’aumento dell’odio transfobico, unitamente a quello omofobico e lesbofobico è segno di una società palesemente ostile a conoscere pari diritti alle persone la cui identità di genere e il cui orientamento sessuale non è conforme all’eterosessualità normativa.
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a Bologna – iniziativa IN RICORDO DI TUTTE LE VITTIME DI TRANSFOBIA
PER NON DIMENTICARE ORGANIZZATA DA TUTTE LE ASSOCIAIZONI lgbtiq cittadine.
Oggi, sabato 20 Novembre alle ore 18.00
Piazza Verdi per ricordare tutte le persone transgender assassinate.
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ore 23.00 STAR – sweet transvestite revolutionary activist-
Atlantide cassero di Porta S. Stefano
festa di finanziamento per il M.I.T.
a cura di antagonismogay/clitoristrix femministe e lesbiche/nulla osta
Il labortatorio Smaschieramenti ha partecipato al corteo dei migranti del 13 novembre a Bologna.
http://senzafrontiere.noblogs.org/post/2010/11/14/bologna-brescia-torino-cortei-cariche-arresti/
Scusateci se abbiamo lasciato in abbandono questo blog!
Questo rapido post è solo per dirvi che ci siamo sempre…
Dopo le Teresiadi (seminario con Teresa De Lauretis 30 settembre 1 e 2 ottobre scorso) ci siamo rimesse a lavorare alla nostra videoinchiesta sulle relazioni, nonchè all’urgente manutenzione e restyling del luogo che ci ospita, la nostra amamta Atlantide.
Speriamo di darvi presto notizie più dettagliate su tutto ciò.
Nel frattempo se avete bisogno di noi contattateci o veniteci a trovare.
Ciaooooooooooo
A Roma, negli ultimi mesi, sono accadute cose talmente sconcertanti e rilevanti in merito al Pride della Capitale del 2010 da indurre molte Associazioni, gruppi e singoli/e ad una riflessione comune, avvenuta nella sede del Circolo Mario Mieli in tre riunioni molto partecipate e ricche di diversità.
Dopo un’ ampia analisi della situazione politica attuale del movimento lgbtiq e dei fatti di Roma, le Associazioni, i gruppi, i/le singoli/e che sottoscrivono questo documento hanno deciso di non aderire a Roma Pride del 2010, per ragioni sia di metodo sia di sostanza politica, che riassumiamo con poche righe non esaustive ma indispensabili.
Il comitato che organizza e promuove il Roma Pride, costituito alla fine da sole quattro associazioni romane, ha effettuato una serie di operazioni, da aprile ad oggi, tali da impedire modalità di costruzione condivisa. Prima sono stati contestati i Pride precedenti e si è richiesta una nuova entità organizzatrice a ridosso dell’evento, invocando maggiore collegialità ma estromettendo dalla costruzione tutte le realtà non della Capitale, per la prima volta dal 1994. Poi si è perpetrata una messa in scena di falsa democrazia attraverso il passaggio di due brevi workshop di proposizione di idee sotto la guida di una psicoterapeuta, delegando poi le decisioni sostanziali a piccoli gruppi di lavoro scollegati fra loro. Successivamente si è spostata la data dell’evento dal 12 giugno al 3 luglio, incomprensibilmente verso un periodo più infelice per la partecipazione e contro una decisione assunta a febbraio durante un incontro nazionale di movimento a Napoli, questo mentre i gruppi di lavoro in teoria dovevano ancora decidere in raccordo fra loro. Analogamente l’ufficio stampa ha scelto e resi pubblici slogan, data e logo prima che si pensasse a quale dovesse essere l’essenza del documento politico da stilare, capovolgendo la logica di qualunque manifestazione esistente. E via discorrendo, con tante e tali “novità” di cui via via si prendeva atto senza alcun vero confronto politico. E potremmo continuare. Un Pride che si autoproclamava “di tutti” è diventato nei fatti di pochi, in particolare di sole quattro sigle.
Si è perpetrata una involuzione sostanziale dei contenuti politici, a partire dallo slogan e dal comunicato stampa di annuncio della manifestazione: questo Pride trova la sua rivoluzione nei i baci e nell’affettività, cioè in quanto di più blando e generico esista, con la sconvolgente amnesia delle pietre miliari e quarantennali delle lotte di movimento lgbtiq, ovvero orgoglio, liberazione, visibilità, autodeterminazione, sessualità, lotta per i diritti, laicità etc. Si è compiuta inoltre una regressione culturale di cui forniamo solo alcuni degli innumerevoli esempi: la rinuncia alla politica costruendo un Pride che passa attraverso una psicoterapeuta; la perdita dell’uso del femminile nel linguaggio; l’irrilevanza della questione transessuale (persino nella esiguità impressionante di persone trans nel comitato), salvo talune richieste di specifici interventi normativi nella piattaforma rivendicativa più lunga della storia, talmente tecnica da sembrare una tesina da giovane avvocato lgbtiq; l’uso smodato del vittimismo; la ossessiva e plumbea richiesta di supporto di polizia e telecamere; la perdita del senso della storia e delle indubbie conquiste sociali e culturali ottenute dal movimento; l’idea che le Associazioni hanno fatto il loro tempo e devono fare passi indietro, salvo poi dirigere il tutto attraverso poche persone che nelle Associazioni ci stanno da decenni o ne hanno attraversate parecchie, e magari militano anche nei partiti; l’uso spregiudicato delle vicende di cronaca di transfobia e di omofobia, ignorando le prime e strumentalizzando le seconde come spot davanti ai media, magari appropriandosi anche di iniziative altrui (vedi la fiaccolata organizzata da We Have a Dream il 30 maggio scorso), rilasciando dichiarazioni alla stampa e appiccicando cartelli con il logo del “proprio” Pride sul petto di chi ha promosso, dietro alla sola bandiera rainbow, una manifestazione di solidarietà e di risposta agli episodi di violenza. E potremmo continuare.
Si è sostanziata una marginalizzazione delle realtà lgbtiq di area culturale di sinistra e si è proposto un indistinto qualunquismo politico, basandosi su un progetto ipotetico di trasversalità che vuole andare a tutti i costi a scovare una sensibilità della destra italiana verso le tematiche gay, lesbiche e transessuali che nella realtà non esiste, se si escludono rare e in fondo doverose estemporaneità istituzionali o amministrative. Si è arrivati a preoccuparsi più della questione della necessità e volontà di cercare sponde a destra, anche in quella cosiddetta "estrema", che coinvolgere nel Pride i collettivi universitari e non, i centri sociali, le femministe, i partiti, i sindacati, le Associazioni che si occupano di diritti umani, le radio e le televisioni che aprono al territorio, i testimonial sensibili, migliaia di cittadine e cittadini comuni che nel Pride hanno visto negli ultimi anni un momento essenziale per stare insieme con consapevolezza e gioia, reagendo all’involuzione politica e sociale del nostro Paese. Ci si è naturalmente preoccupati di non dimenticare nel documento politico la parola antitotalitarismo, affinché la parola antifascismo non rimanesse sola ed inequivocabile.
C‘è talmente più realismo del re, che ci si preoccupa di evitare qualunque possibile polemica con l’amministrazione di turno (comunque guarda caso di destra), risolvendo persino le questioni politiche con un semplice e docile “ci ripensi” rivolto al sindaco Alemanno, che si dichiara contrario ad una legge contro l’omofobia e la transfobia E potremmo continuare.
Ma ci fermiamo nell’elencazione dei vari motivi che ci allontanano da questo Pride non perché non ve ne siano altri, ma in quanto riteniamo che quelli esposti siano già sufficienti per spiegare un atto così serio ed inedito da parte nostra.
Ci sentiamo orfani/e quindi di un appuntamento vero, vitale, condiviso, ricco e coinvolgente quale è stato fino ad oggi il Pride romano, significativo per tutta la comunità lgbtiq italiana e per la città di Roma. Non riusciamo in nessun modo a riconoscerci in nulla di ciò che Di’Gay Project, Arcigay Roma, Gaylib Roma e Azionetrans, ovvero il Comitato del Roma Pride 2010, hanno realizzato a testa bassa sino ad ora, senza nemmeno un attimo di ripensamento. Quindi con dolore immenso non aderiamo al Pride, con la scelta condivisa che ogni Associazione firmataria, se vuole, possa trovare liberamente proprie modalità di presenza per i propri associati e prendiamo le distanze dall’atto di destrutturazione metodologica, politica e culturale che si è perpetrato ai danni di un appuntamento da sempre e da tutto il movimento italiano sentito e ritenuto importantissimo . Ci aspettavamo da parte del comitato un qualche momento di consapevolezza del crescente sfaldamento, soprattutto dopo le continue critiche piovute da ogni dove e dinanzi al progressivo rimanere da soli. Non c’è stato nulla, non si capisce se per incapacità politica e inesperienza, o per la precisa volontà di provocare una spaccatura nel movimento. Noi vogliamo invece ristabilire modalità serie di coesione e fiducia, ribadire contenuti e storia del movimento, rilanciare percorsi di costruzione politica. Bisogna riattivare un dibattito vero, ribadendo vigorosamente lo spirito di liberazione di Stonewall. Su questo solco è quindi indispensabile continuare il percorso sia di lotte per i diritti e tutele verso coppie e singoli/e lgbtiq, sia di battaglie più ampie per una società più libera, come quelle contro le politiche di repressione e strumentalizzazione sui corpi delle persone trans, di donne e di migranti, contro il pacchetto sicurezza (come non ricordare i Cie – Centri di espulsione), contro la privatizzazione dei servizi e dei beni comuni, e via discorrendo. La nostra mancata adesione è un atto di vera assunzione di responsabilità, l’unico possibile rimasto: non nel nostro nome tanta pochezza di contenuti, manifesta incapacità e tanta mistificazione, non nel nostro nome la ricerca di visibilità di pochi. Non ci sarà da parte nostra nessun atto se non questo: noi non ci saremo. E non andremo nemmeno a inizio parata a cercare solo le telecamere per comunicare urbi et orbi la nostra distanza, come ha fatto in passato chi si è ricordato di amare tanto il Pride solo quest’anno, che l’ha voluto organizzare a tutti i costi e a modo proprio. Andremo invece tutti ed tutte a Napoli il 26 giugno, a sostenere un Pride che condividiamo e sentiamo nostro, anche se la gioia di quel giorno non colmerà il senso di perdita umana e politica del Pride di Roma, stracciato e mortificato come un pannetto inutile in mano a pochi in totale smarrimento.
http://orgogliosamentelgbtiq.blogspot.com/