Bologna_5 maggio 2012_dalle 10 alle 18 @ Bartleby, via san petronio vecchio 30
Molte donne, lesbiche, trans e froce nella crisi vivono uno stridente paradosso: molto spesso discriminate e invisibili, quando non sono estromesse dal mercato del lavoro, si ritrovano a essere ricercate e sfruttate nelle nuove forme del lavoro biopolitico proprio in quanto donne e froce. Veniamo as-soggettate e ci as-soggettiamo perché si dice che siamo più creative, più comunicative, più disposte all’ascolto e alla mediazione, che sappiamo presentarci meglio e sorridiamo di più. In quanto gay e lesbiche, si presuppone che non abbiamo legami familiari che ci distolgano dalla dedizione al lavoro, mentre ci viene richiesto di estrarre plusvalore dalle nostre reti di relazioni per poi regalarlo al capitale. In quanto donne, sia dalle pelose retoriche pari opportuniste di governo sia dal neoperbenismo femminile alla *se non ora quando*, veniamo trasfigurate in icone sacrificali di madri eroiche e docili mogli in grado di conciliare produzione e riproduzione, per poi scaricare integralmente sulle nostre spalle il peso dello smantellamento del welfare, dimissionarci se rimaniamo incinte e appesantire la gerarchizzazione tra donne native e migranti nel lavoro di cura. In quanto trans siamo ancora estromesse/i dal lavoro o incluse/i in ruoli ipersessualizzati.
Ma quello che ci colpisce, in particolare, è come, nel contesto della disoccupazione di massa, le retoriche di genere siano utili solo a dare una patina di responsabilità sociale a un governo tecnocratico che esegue i dettami della BCE e della finanza, e come, in definitiva, servano a camuffare la spietata transizione in atto, ora sul versante delle politiche di ristrutturazione del capitale, ora sul versante del controllo delle condotte sessuali.
Sappiamo bene, per averlo sperimentato sulla nostra pelle, che il blablabla sul «fattore donna» come volano della crescita e dello sviluppo e sul «diversity management» come strumento di inclusione sociale, non porta affatto un maggiore riconoscimento delle differenze ma soltanto un’intensificazione dello sfruttamento e dell’impoverimento per il 99 per cento di donne e queer. E lo sappiamo da molto prima che la mancanza di diritti e tutele diventasse una condizione generalizzata del lavoro “femminilizzato”.
Per questo, nelle lotte froce, trans e femministe, uno sguardo sulla crisi è indispensabile. Per evitare di essere ricondotte a spazi di compatibilità che si servono di noi per legittimare il sistema, concedendo briciole e lusinghe a qualcuna di noi sul piano dei diritti civili o sociali, per poi schiacciarci tutte nel ricatto del debito e della precarietà. Per questo, nelle lotte sociali contro il debito e per il diritto al reddito, il tratto di genere e gli aspetti biopolitici e sessuati delle dinamiche economiche devono diventare centrali. Perché è l’unico modo per riuscire a pensare nuove forme di lotta e resistenza adeguate alle nuove forme della (ri)produzione globale.
Oggi, di fronte alla crisi che investe oltre alle nostre vite anche la sovranità statuale, la rappresentanza e le forme tradizionali della politica, facendo saltare definitivamente anche qualunque velleità di lobbismo integrazionista lgbt, è venuto il momento di agire pratiche comuni a partire dalla complessità e dalla molteplicità delle nostre collocazioni di genere e situazioni sessuali per convergere verso le lotte precarie per il reddito e per il diritto all’insolvenza del debito. Occorre mettere al centro, per chiunque voglia cogliere le opportunità di trasformazione e sovvertimento, la necessità di comprendere e decostruire le categorie di sesso – genere – sessualità a partire da una prospettiva che consideri i binarismi come dispositivi che servono a sostenere l’eterosessualità normativa e a stabilizzare l’attuale organizzazione sociale lungo le linee della razza e del sesso.
Cosa accadrebbe, se dentro ai mille rivoli della precarietà diffusa in cui è frammentato il lavoro, dentro al lavoro sessuale, al lavoro di cura retribuito e non, praticassimo uno sciopero dai generi,
cioè uno sciopero da tutte le aspettative, ripetizioni, atti, ruoli con cui quotidianamente (ri)produciamo l’ordine costituito dei generi e con esso l’ordine costituito tout court? Come suggeriva il *Manifesto per l’insurrezione puta-lesbo-trans-femminista* diffuso nel 2010 da numerosi collettivi spagnoli, infatti, è arrivato il momento di interrogarci sul fatto che se tutti e tutte nella vita di ogni giorno produciamo continuamente genere, sarebbe meglio che producessimo libertà.
Nell’incontro *Manovre ingen(d)erose* organizzato a Milano dai collettivi Ambrosia e Queer against racism il 30 marzo scorso, sono emerse alcune analisi e prospettive che sentiamo l’urgenza di rilanciare insieme, qui, ora, altrove e nel tempo a-venire: la rivendicazione di un reddito universale incondizionato come reddito di autodeterminazione, lo strumento dell’inchiesta come (auto)inchiesta sulla vita, la valorizzazione delle forme di mutualismo e autorganizzazione del welfare che già oggi costruiamo nelle nostre reti, lo sciopero dai generi come sciopero sociale e precario.
Su questa traccia aperta, al grido di “queering occupy!”, invitiamo a discuterne con noi il 5 maggio a Bologna tutti quei gruppi e singolarità che in varie parti d’Italia, condividendo la rabbia e l’insofferenza per un sistema economico che colonizza e disciplina austeramente le nostre vite, sentono la necessità di agire per una favolosa trasformazione corporea sociale e sessuale dell’esistente.
Rete PutaLesboTransFemministaQueer
Antagonismogay/Laboratorio Smaschieramenti Barattolo Fuoricampo Lesbian Group Frangette Estreme Mit Sexyshock Mujeres Libres…e altre singole favolosità
Per info: infosmaschieramenti@inventati.org – reteputa.bo@gmail.com
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