VeniamoAlDunque

Sabato pomeriggio la prima manifestazione nazioAnale transfemminista queer autonoma dal titolo “Veniamo Ovunque” – che il sindaco di Bologna aveva pubblicamente chiesto di impedire – ha turbato la normalità di questa città-vetrina non solo per le parrucche colorate e i corpi sessualmente anomali, ma soprattutto perché diceva cose “oscene”: gay e lesbiche che non dicono grazie per le briciole di riconoscimento che gli sono state concesse, che nemmeno chiedono il matrimonio, che piuttosto vogliono la dote; che non parlano contro le discriminazioni sul lavoro ma contro il lavoro; che vogliono costruire consultorie per la gestione della propria salute e non essere utenti paganti e normalizzati; che si schierano con i/le migranti e rifugiat*, contro le deportazioni e contro chi cerca di farci credere che il sessimo e l’omofobia siano minacce portate da chi viene da “fuori”. Oscenità che abbiamo escogitato e maturato negli ultimi quattro anni nella rete del SomMovimento nazioAnale, formata da collettivi e singole/i/u provenienti da svariate città, e che ha contaminato una molteplicità di percorsi. Abbiamo attraversato lo spazio pubblico con una manifestazione totalmente autorganizzata che ricorda a tutt* che senza casa, senza reddito, lavorando in condizioni di sfruttamento e precarietà, con l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza gravemente minacciato, con la privatizzazione della sanità, con gli sgomberi degli spazi di autogestione, socialità e iniziativa politica transfemminista e frocia nessun* è veramente libera di amare, di scopare, di autodeterminarsi. Insieme a noi c’erano realtà cittadine e singole/i unite dall’intersezionalità delle lotte e dal bisogno di spazi di socialità e di sessualità liberata, di autogestione e autonomia.

Lungo il percorso, abbiamo scelto di occupare una parte della stazione di via Zanolini perché è un luogo che un po’ ci assomiglia. Perché è un nodo di una rete di incroci tra persone che fanno regolarmente un pezzo di strada assieme, ma è anche uno spazio di incontri imprevisti, che spesso sono proprio quelli che riescono a essere costituenti di nuove possibilità. Perché è una terra di mezzo, già desertificata dalla speculazione edilizia, della quale (quasi) nessuno sembra volersi prendere cura.


I locali abbandonati dell’ex Veneta, passati di mano in mano tra le molteplici riorganizzazioni di varie aziende del trasporto pubblico e i fallimenti di società di costruzioni, sono stati acquistati dal Comune di Bologna nel 2006 che due anni fa ha inutilmente tentato di “regalare” in blocco all’Università di Bologna. Il risultato è che una parte dei locali sono occupati da uno “smart coffee” per gli iscritti a Unibo gestito da una multinazionale francese che si sta distinguendo per comportamenti antisindacali, vessatori e intimidatori nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici, che il piano superiore è ancora in attesa di destinazione, che il grande atrio è chiuso da più di un anno per l’incuria di TPER, mentre i locali dell’ex bar-edicola sono vuoti da quasi due anni. Le richieste delle pendolari e dei pendolari che hanno costituito il Comitato Utenti Bologna-Portomaggiore e che attraversano questa terra di mezzo ogni giorno cadono nel vuoto da anni, un vuoto creato dal rimpallo di responsabilità tra istituzioni e aziende pubbliche che da moltissimi anni le/li ha privati di qualunque servizio.

Sabato abbiamo deciso di riaprire quello spazio, che ha un vincolo di destinazione pubblica, per restituirgli il valore d’uso che gli è stato tolto e che continuerà a non avere per chissà quanto altro tempo. Con la pratica dell’occupazione abbiamo scelto di posizionarci sul margine esterno della legalità, per denunciare un’amministrazione che gestisce beni pubblici come se fossero privati, in spregio ai bisogni sociali, e che sgombera chi si autorganizza per rispondere a bisogni sociali diffusi.
Abbiamo immediatamente chiesto un’interlocuzione con la proprietà di quegli spazi, ovvero il Comune di Bologna. Ci ha invece risposto la Questura, minacciando di caricare immediatamente le centinaia di femministe, gay, lesbiche, trans, le attiviste e gli attivisti dei movimenti sociali che con noi hanno attraversato e continuato ad attraversare le strade della città per reclamare giustizia sociale, per rivendicare casa, reddito, libertà di circolazione delle persone dentro e fuori le frontiere, accesso a un welfare non familistico per tutte e tutti.
Da parte sua, l’amministrazione che si candida a governare la città per altri 5 anni, ha scelto, ancora una volta, di ridurre le questioni sociali e politiche a un problema di ordine pubblico e di “autorizzazioni”. Ricordiamo al sindaco uscente che le manifestazioni non sono “belle” o “brutte”, le manifestazioni esprimono bisogni sociali ai quali bisognerebbe avere la decenza di dare risposte politiche. Una foto ricordo in sala rossa per il giorno della tua unione civile o uno spettacolino di luci arcobaleno in Piazza Maggiore non cambiano certo la materialità delle nostre vite di froce precarie.

Il corteo è quindi ripartito lungo i viali e le strade del centro, concludendosi alle 22, 6 ore dopo la sua partenza da piazza del Nettuno, con un’assemblea aperta in Piazza Maggiore.
Un’assemblea che ha dato spazio e voce a tutte coloro che si sono sentite parte di quella giornata, con libertà di critica e rilancio sui fronti che si sono aperti grazie all’autorganizzazione trans* femminista lesbica e frocia.
Come tutte/i, proviamo rabbia, amarezza e allarme per la morsa repressiva in cui ci troviamo e per l’enorme numero di sgomberi che abbiamo subito a Bologna nell’ultimo anno e, a maggior ragione, perché uno di questi sgomberi è stato quello di Atlantide.
Sabato abbiamo messo in campo molteplici pratiche politiche, comunicative e performative, tra le quali anche quella dell’occupazione. Una pratica conflittuale, fondamentale e necessaria, ma non sufficiente da sola a garantire la durata di ciò di cui abbiamo bisogno: uno spazio politico per potenziare l’autonomia trans-femminista queer in cui costruire un campo di intersezione tra le lotte sociali, ciascuna/o/u a partire dalla specificità dei propri posizionamenti.
Uno spazio politico delicato, che già esiste perché é queer ed ora, che è stato espresso nella manifestazione di sabato, ma che dobbiamo preservare e curare affinché possa diventare ancora più espansivo, e che abbiamo scelto di non sacrificare alla logica dell’evento.
Abbiamo scelto di ripartire in corteo da via Zanolini, non per la paura di rovinarci il trucco e le pettinature sotto i colpi dei manganelli ma per non lasciare in pasto alla strumentale retorica perbenista su violenza e nonviolenza le urgenti questioni sociali che sono state espresse durante il corteo.

L’occupazione è una pratica alla quale non rinunceremo. E’ tristemente evidente, tuttavia, che il piano della mediazione politica che ne ha garantito fino ad ora l’efficacia sia del tutto saltato. Alla luce di questa constatazione è urgente allora, per noi transfemministe queer come per il resto dei movimenti sociali, ripensare gli “stili” dell’occupazione, della militanza, della resistenza agli sgomberi e di tutte le forme della politica che abbiamo codificato quando i “rapporti di forza” erano ben altri.
Per costruire un’altra idea di città, un’altra idea di società, a partire dai bisogni inascoltati delle/dei più, contro i privilegi di pochi, nessunu può bastare a se stessu. Si tratta di costruire collettivamente strategie di trasformazione delle passioni tristi in gioiosa potenza della lotta, di avere il coraggio di dis-identificarsi e deludere le aspettative, di sperimentare, di praticare l'”arte del fallimento” non per dis-farci, ma per ri-farci continuamente, sempre meglio.
Intanto, ci rivediamo subito in strada, sabato prossimo, 28 maggio, nel corteo per l’indipendenza della lotta per la casa, del conflitto sociale e delle autogestioni che partirà da Piazza dell’Unità alle 16.

Laboratorio Smaschieramenti (le bolognesse del SomMovimento nazioAnale)

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Una risposta a VeniamoAlDunque

  1. yo scrive:

    Grazie. Grazie.

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