Come Laboratorio Smaschieramenti aderiamo alla convergenza che porterà alla manifestazione del 22 ottobre. Non partecipiamo solo in quanto lavoratrici ma come lavoratrici e frocie: l’immagine di una classe lavoratrice tutta cis ed etero, bianca e maschia è falsa. Questa immagine falsa si somma ai processi di diversity management che ci rendono visibili solo in determinate situazioni, quelle cioè in cui le nostre identità possono essere messe a profitto: le grandi multinazionali si vantano infatti delle iniziative di inclusività, utilizzando l’immagine dell’”apertura alle persone LGBTQIA+” per aumentare i propri guadagni, guadagni che poi non sono redistribuiti attraverso il reddito. Al contempo viene invisibilizzato il lavoro che già facciamo nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole e in tutti gli altri contesti. Questi processi hanno anche altri effetti materiali sulle nostre vite, toccando questioni tra cui la gestione delle molestie sul lavoro, dell’attivazione o meno delle carriere alias per le persone transgender e del mobbing.
Non partecipiamo nemmeno solo come “quota fucsia” o come un “fuori” rispetto ai diritti sociali in ballo e al processo della convergenza, che va collettivamente costruita. A questo proposito, ribadiamo ancora e ancora la necessità di superare la frattura tra diritti civili e diritti sociali: anche noi veniamo sfruttate dal lavoro e viviamo la stessa materialità di vita delle altre persone. Il modo migliore per far vedere la strumentalità di questa contrapposizione è verificare l’impatto dei diritti civili sul luogo di lavoro: la mancanza di diritti civili ha ricadute materiali sulle vite delle persone, sul luogo di lavoro, a scuola, all’università.
Un altro ambito di lavoro invisibilizzato è quello del lavoro di cura, che molto spesso ricade sulle soggettività femminilizzate e queer: il lavoro riproduttivo e di cura è ciò che consente al lavoro produttivo di andare avanti e rappresenta uno dei centri di accumulazione capitalista e terreno di scontro politico per reddito, salario e permesso di soggiorno (dato che molta parte di questo lavoro viene scaricato su donne migranti).
Di fronte alla costante erosione del welfare e la precarizzazione del lavoro, uno strumento fondamentale che ci siamo date è quello del mutualismo, con cui cerchiamo di andare incontro ai desideri di soggettività marginalizzate in quanto queer, migranti e sex worker, come abbiamo fatto con il progetto Pane Paillettes e Connessione, una cassa mutua per venire incontro ai desideri di queste soggettività durante il periodo della pandemia.
Rivendichiamo il mutualismo, ma riconosciamo anche che non può bastare a fronte della distruzione del welfare e di un lavoro che sfrutta e uccide: è per questo che vogliamo un reddito di autodeterminazione, anche come riparazione per le discriminazioni che subiamo. Il reddito di autodeterminazione, che deve essere slegato da condizioni di lavoro e cittadinanza, non solo permetterebbe alle persone di uscire da situazioni di violenza familiare senza il rischio di morire di fame, ma permetterebbe anche di negoziare maggiormente le proprie condizioni di lavoro, bucando lo strapotere dei datori di lavoro e il sistema di sfruttamento attuali.
Il problema di accesso al mercato del lavoro produce una gerarchizzazione di fatto, che induce a una sovrarappresentazione nel lavoro sessuale di persone queer, soprattutto quelle disabili, neurodivergenti e razzializzate. In alcuni casi il lavoro sessuale si affianca a quello formale, dando luogo ad ulteriori condizioni da occultare. Il lavoro sessuale, infatti, comporta una serie di rischi determinati dalla mancanza di tutele in cui si svolge oggi. Chi sceglie questo lavoro subisce pregiudizi e stigma. Il lavoro sessuale è lavoro e la sua decriminalizzazione aiuterebbe la lotta alla tratta e il superamento dello stigma.
Nell’attuale contesto politico e sociale è sempre più fondamentale porre al centro la necessità di combattere sia la prospettiva neoliberale che quella neofondamentalista in quanto sono due facce della stessa medaglia: se da un lato la brutalità del neofondamentalismo nega le nostre stesse vite, dall’altro la prospettiva neoliberale guarda alle nostre vite come a nient’altro che strumenti da spremere per estrarne valore economico. Se questi due approcci sono effettivamente diversi dal punto di vista della vivibilità, sul piano strutturale non cambia nulla. È su questo piano strutturale che va costruita la convergenza tra le soggettività queer e le altre soggettività di classe.
Convergiamo per insorgere!