La solidarietà e la vicinanza della comunità LGBTQIA+ di Bologna a Bruna, la donna trans picchiata dalla polizia locale di Milano lo scorso 24 maggio, sono tutt’uno con la nostra rabbia e la nostra determinazione a condannare la violenza delle forze di polizia, che da sempre si accanisce con particolare brutalità e con totale impunità quando si tratta di sex workers, di migranti, di donne trans, di gay, lesbiche e altre minoranze sessuali o di manifestanti.
Il pestaggio di Bruna è stato documentato in un video che è finito sui media, ma sappiamo che per ogni episodio che viene alla luce, altri mille restano non denunciati. Sappiamo anche che non si tratta di una brutalità commessa da soli 4 individui, ma di una situazione sistematica, ed è questa che vogliamo denunciare e condannare.
I quattro agenti che si sono accaniti sulla nostra sorella mentre era a terra con le mani alzate, si sono sentiti legittimati a fare ciò che hanno fatto da una serie di pregiudizi legati all’oppressione strutturale che Bruna e tante compagne come lei vivono ogni giorno: viviamo in un paese in cui centinaia di migliaia di migranti sono in una condizione di ricattabilità tale da non poter esercitare il diritto a difendersi dagli abusi,un paese in cui si è affermato un discorso per cui le loro vite valgono poco più di niente e, pur non avendo fatto niente di male (non avere documenti, infatti, non è un reato ma una infrazione amministrativa), devono avere paura ogni volta che hanno a che fare con la polizia; un paese in cui il lavoro sessuale, non criminalizzato solo sulla carta, è stato da sempre oggetto di ricatti, abusi e repressione, e a partire dagli anni Duemila oggetto dell’ulteriore accanimento dei sindaci rispetto alla cosiddetta “sicurezza” degli spazi urbani; un paese in cui la vita, la sicurezza, la dignità di una donna trans vale poco più di niente, a partire dal fatto che persino il diritto a essere chiamata con il suo nome è soggetto alla discrezionalità di giudici e medici.
Per questo chiediamo, accanto al movimento sex workers, decriminalizzazione del lavoro sessuale e decriminalizzazione della migrazione.
Inoltre i poliziotti si sono sentiti legittimati a fare ciò che hanno fatto perchè in questo paese l’idea che gli abusi delle forze di polizia debbano essere perseguiti e puniti dalla legge ha sempre incontrato enormi resistenze fra gli esponenti politici e totale chiusura all’interno delle stesse forze di polizia, che si sono sempre opposte in modo compatto a qualsiasi provvedimento che aggredisse alla radice le cause strutturali di queste violenze, e hanno operato rappresaglie e mobbing sui pochissimi agenti che hanno osato testimoniare contro i colleghi che avevano commesso abusi (eclatante il caso delle torture alla caserma Diaz a Genova nel 2001). E’ per questo che ci è voluta una condanna della Corte Europea dei diritti dell’uomo perchè l’Italia nel 2017 approvasse finalmente la legge che istituisce il reato di tortura, cioè il semplice principio democratico che la violenza inferta da personale in divisa è qualcosa di più grave, e non meno grave, di una violenza privata. Una legge giudicata insufficiente da Amnesty International, perchè ad esempio il reato di tortura non dovrebbe cadere in prescrizione come i reati comuni. Ma nel marzo scorso abbiamo appreso con orrore che Fratelli d’Italia ha presentato una proposta addirittura per abolirla.
E’particolarmente inquietante il modo in cui il sindacato di polizia SIULP di Milano ha tentato di giustificare ciò che i poliziotti hanno fatto, inventando la storia (subito smentita) secondo cui Bruna si stesse denudando davanti a una scuola materna. Una balla che si inserisce perfettamente dentro il quadro della campagna di odio in atto da anni contro di noi ad opera delle associazioni No Gender, che cercano di fomentare il panico sessuale contro di noi. Una campagna che promuove una regressione della cultura sessuale di questo paese, a danno non solo della comunità LGBTQIA+ ma della libertà sessuale di tutte e tutti (in modo particolare delle lavoratrici della scuola).
Nel nostro paese ci sono milioni di persone che, a causa del colore della loro pelle o del loro genere e orientamento sessuale, hanno paura di essere maltrattate, picchiate o insultate dagli agenti di polizia, persino quando la chiamano o vorrebbero chiamarla per proteggersi da aggressioni omo-lesbo-bi-transfobiche.
Quelle che i sindaci (purtroppo di tutti gli schieramenti) chiamano politiche per la “sicurezza” non sono altro che politiche per la repressione e l’intimidazione costante dei soggetti considerati impresentabili e di una serie di figure trasformate in capri espiatori delle paure e delle frustrazioni della gente: sex workers, donne trans, adolescenti razializzati, poveri, e persone che protestano per un mondo più giusto.
Le nostre vite, le vite di tutti saranno più al sicuro solo quando verranno spesi meno soldi pubblici per armare gli agenti di polizia e più soldi pubblici per le politiche sociali, solo quando gli agenti in tenuta antisommossa saranno resi identificabili da un codice bene in vista sulle divise (cinque proposte di legge in questo senso giacciono dimenticate in parlamento), solo quando la tortura diventerà un reato non soggetto a prescrizione.
Combattiamo per tutto questo e per molto altro. Per questo siamo state al fianco delle sex workers per le strade di Bologna nel corteo del 3 giugno, per questo andremo a San Donà di Piave, dove insegnava Cloe Bianco,l’insegnante trans licenziata per la sua identità e morta suicida esattamente un anno fa, per questo scenderemo in piazza a Bologna il primo luglio per il pride, e molto presto per una nuova data della manifestazione nazionale LGBTQIA+ “Le nostre vite valgono. Unitə contro la violenza di stato”.