Un 17 Maggio radicale e unitario è possibile?


La risposta alla nostra lettera aperta sull’assemblea del 29 Marzo al Mario Mieli di Roma

La Giornata del 17 maggio contro l’omolesbobitransfobia ha finalmente superato una soglia di
politicizzazione: da momento in cui froce e istituzioni si riunivano un solo giorno all’anno per
celebrare le differenze e denunciare le discriminazioni, si è trasformata in una giornata di lotta e
rivendicazione. Dieci anni fa accadeva lo stesso al 25 novembre, poi all’8 marzo, grazie alla spinta
dal basso e alla forza di Non Una Di Meno. Accade ora nella comunità LGBTQIA+ in nome della
rabbia, dell’insubordinazione, della richiesta di unità, giustizia e radicalità che rispondono a una
deriva patriarcale, anti-gender, post-fascista, securitaria, sovranista, militarista, razzista, colonialista
e islamofobica strettamente connessa agli aspetti intrinsecamente autoritari del neoliberismo che,
per quanto evidenti da sempre agli occhi di noi soggettività marginalizzate, in questa fase di crisi
vengono messe in primo piano e brutalmente esasperate.
Oggi più che mai è necessario coltivare e rafforzare una capacità collettiva di autorganizzazione e di
autonomia politica all’altezza della resistenza che le nostre comunità reclamano a gran voce almeno
dalle mobilitazioni attorno al DLL Zan e poi con Stati Genderali. Riconosciamo nel percorso – vale
a dire, per il momento, nell’unica assemblea del 29 marzo – promosso da La Strada dei Diritti in
vista dell’organizzazione della piazza romana del 17 maggio un tentativo di muoversi in quella
direzione. L’abbiamo attraversato e lo attraversiamo, sostendolo nella sua parzialità, così come
appoggiamo e aderiamo a ogni iniziativa di lotta lanciata in questi giorni – dal corteo del 18 di Rete
Trans Queer a Roma, a quelli di Napoli e Palermo, da cortei antifa di Milano e La Spezia, a quelli
che lo stesso 17 maggio ricorderanno la Nakba del popolo palestinese.
Rispondiamo – positivamente – alla manifestazione romana del 17 organizzando a Bologna, come
Rivolta Pride, un corteo transfemminista queer gemellato e convergente con quello dei Giovani
Palestinesi perché riteniamo che sia necessario, per comporre e ricomporre intersezionalmente le
lotte, partire dai territori e prendere in carico le istanze di tutte le soggettività in lotta attraverso
modalità partecipative, orizzontali e democratiche. Per noi, è l’unico modo di evitare che le nostre
lotte comuni vengano strumentalizzate a discapito di alcune di noi, ed è quindi l’unico modo
immaginabile per creare una piattaforma realmente condivisa di resistenza queer. Lo hanno detto
bene nella loro lettera lə compagnə del Cassero e lo ribadiamo, un mese dopo, riconoscendo e
salutando con favore l’avanzamento politico e lo scarto d’analisi prodotto da La Strada dei Diritti
dopo (e forse in risposta a) quella lettera. Infatti, nello stupore generale, la chiamata del 17 si
rivolgeva inizialmente a tutti i movimenti senza menzionare il DDL Sicurezza, la battaglia
referendaria sulla cittadinanza e sul lavoro, la resistenza palestinese e il rifiuto del riarmo,
condizioni necessarie e non negoziabili per “definire dei minimi comuni denominatori” con chi,
questa volta senza nessuno stupore, a quella chiamata non ha voluto rispondere. A oggi, tutto questo
è stato incluso – quantomeno nominalmente – nel posizionamento politico de La Strada dei Diritti, e
noi non possiamo che felicitarcene.
Allora avanti, compagnə! Non è più il momento delle parole, seppur faticosamente condivise
durante la fase di Stati Genderali: come ha sottolineato nella sua lettera Porpora Marcasciano,
cogliendo l’immediatezza della risposta internazionale agli attacchi alle persone trans* in USA e
UK, è tempo di prontezza, di azione e di lotta. Sarebbe utile ripartire da una call nazioAnale non
tanto per costruire un lessico comune, che apparentemente già abbiamo, e forse neanche tanto per
discutere dei contenuti, ma per costruire e mettere in atto le condizioni di una mobilitazione che
potrà dirsi collettiva e unitaria soltanto se sarà al contempo partecipata, aperta, decentralizzata e
ricettiva alle istanze di chiunque attraversi i vari Pride – e anche, magari, di chi da quei Pride non si
è mai, o più, sentitə né compresə né accoltə, e che non possiamo abbandonare alla frustrazione e alla rassegnazione senza rischiare di finirci dentro anche noi.

Noi ci siamo, c’eravamo, ci saremo!

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