Il nostro intervento al Rivolta Pride 2023
Ci dicono che ci sono cose più importanti dei diritti sociali, variabili in base al caso: la crisi climatica, il lavoro, la guerra. Come se noi frocie vivessimo in un mondo parallelo popolato di unicorni arcobaleno, dove crisi climatica, guerra e tutti gli altri problemi del mondo non esistono. Come se ci fosse davvero distanza tra diritti civili e diritti sociali, come se noi non lavorassimo. Lavoriamo, e subiamo oppressioni multiple a causa proprio delle nostre identità queer dissidenti. Viviamo il costante paradosso di svanire sotto al peso delle supposte “cose più importanti”, e l’essere il centro del discorso politico sul piano internazionale: l’odio omolesbobitransafobico crea un fronte comune dagli Usa alla Russia, dove l’oppressione delle persone queer permette di superare qualsiasi divergenza politica. Negli Usa solo quest’anno sono state approvate 75 leggi contro le nostre vite, mentre la Russia di Putin pretende di considerare malate le persone queer, di guarirle con ogni mezzo e in modo coercitivo, e impedisce i percorsi di affermazione di genere.
L’economia di guerra, intanto, finisce per rinsaldare il capitalismo inquinante, con il suo enorme consumo di combustibile fossile, mentre si rincarano nazionalismi e populismi, si cooptano i nostri linguaggi per vendere meglio e creare più profitto – non per migliorare le nostre condizioni materiali.
La lezione della pandemia è stata dolorosamente ripetuta dall’alluvione: le situazioni di emergenza creano un’immagine falsa di omogeneità della popolazione, che sembra diventi improvvisamente priva di differenze e specificità. Ma dove erano le frocie, le persone trans, immigrate, sex workers, razzializzate e tutte le altre minoranze durante la pandemia? Dove sono anche adesso: non ce ne siamo mai andate, siamo sempre qui ad affrontare tutte le difficoltà del nostro essere minoranza, aggravate ulteriormente dalla situazione emergenziale e di catastrofe ambientale che molte zone stanno tuttora vivendo.
In Italia, intanto, la repressione fascista del governo ha già portato in diverse città a creare bambinu orfanu, disconoscendo la genitorialità delle coppie omosessuali. Ma l’attacco alle nostre famiglie/sfamiglie nei fatti è un attacco a tutte le famiglie che non rispondono alle norme dell’eterocispatriarcato e a standard economici sempre più elevati. Un matrimonio felice tra neofondamentalismo e neoliberismo a cui non siamo invitat* ma a cui non vogliamo nemmeno partecipare! vogliamo molto di più che i pochi diritti degli etero benestanti: vogliamo non solo riconoscimento delle nostre relazioni, ma una riforma generale del diritto di famiglia, che metta al centro la cura condivisa e la possibilità materiale, economica e di tempo, di esercitarla. Vogliamo che chiunque voglia offrire cura a bambinu, anzianu, persone che ne hanno bisogno, sia messu in condizione di farlo.
La commissione del parlamento europeo per i diritti delle donne ha votato a favore di una relazione che invita gli Stati membri a depenalizzare le donne che si prostituiscono, ma a perseguire i loro clienti. Come sempre, altri si permettono di parlare per e sulle sex workers, impedendone di fatto l’autodeterminazione. Vogliamo che il lavoro sessuale venga completamente depenalizzato, per permettere a chi lo svolge di lavorare in modo più sicuro e con maggiore possibilità di negoziare i termini della prestazione. La criminalizzazione, compresa quella dei clienti, crea marginalità e maggiore rischio di subire violenze e soprusi, compresi quelli delle forze dell’ordine. Vogliamo che le voci delle sex workers vengano ascoltate: sex work is work!
L’Italia resta al primo posto in Europa per transcidi, che è la punta dell’iceberg della violenza istituzionale e privata che le persone trans e non binary vivono quotidianamente in ogni ambito della vita. La legge 164 dell’82 fa parte nei fatti di tale violenza: una legge patologizzante che impone che le nostre identità siano giudicate da “esperti” medici e psicologi che solo dopo un percorso lunghissimo e costoso valuteranno se siamo o non siamo abbastanza trans per avere accesso a eventuali ormoni e cambio di documenti. Siamo stancu delle persone cis che parlano e decidono per noi su di noi, sui nostri corpi: pretendiamo la libertà di autodeterminarci, pretendiamo il consenso informato per accedere al percorso di affermazione di genere, pretendiamo di essere noi a decidere per i nostri corpi e le nostre vite!
E a proposito delle violenze che subiscono le persone trans, martedì 23 maggio 2023 una nostra Sorella, una donna Trans è stata brutalmente pestata da agenti della polizia locale di Milano. Siamo sconcertat3, ma certo non stupit3; quella brutalità ci è limpidamente chiara; quella violenza di Stato, che ci colpisce nascondendosi dietro all’omertà delle divise la conosciamo bene.
Noi rifiutiamo la retorica “not all cops”. Sappiamo che non è il gesto di poche “mele marce”: ma è l’ordinaria e quotidiana violenza di un sistema che è completamente marcio, dalle sue radici fino ai rami. È la violenza di un sistema di oppressione che ci vuole schiacciare, perché ha paura di noi: della nostra libertà, favolosità ed autodeterminazione. Lo vediamo da mesi e da mesi lo denunciamo: siamo bersagli di un odio cieco, becero, volgare e meschino; un odio vigliacco e fascista. Quante altre manganellate, quanta violenza dobbiamo ancora sopportare, per riprendere in mano quel tacco a spillo che, a Stonewall, è stato la nostra rivolta? La nostra pelle è dura, non la scalfirete mai; ma la nostra pazienza, invece, è già finita. Sorella, siamo con te: perché se toccano unə di noi, toccano tuttɜ!
Noi questa violenza la conosciamo e la riconosciamo anche al di là delle nostre specifiche istanze e identità; la riconosciamo nell’omicidio di Nahel, alle porte di Parigi, come uno dei tanti confini che delimitano spazi cittadini e nazionali, da cui siamo continuamente esclus*. Quello che sta succedendo in queste ore a Parigi è una risposta intersezionale alla segregazione sociale e materiale e fisica che ci impone di stare ognun* al proprio posto: è questo l’unico spazio che ci viene concesso: uno spazio di sfruttamento capitalista, di violenza di genere e razzista. Ma siamo qui, così come a Parigi, per dire che le nostre vite e le nostre relazioni eccedono questo spazio e ne rivendicano altro. Oggi questo è il nostro spazio!
È di pochi giorni fa la notizia dell’ennesima strage in mare: in Grecia 600 persone sono state abbandonate e uccise dalla violenza delle frontiere e del razzismo istituzionale, quello che stabilisce sulla linea del colore della pelle e della povertà se e quando vale la pena mobilitarsi per salvare vite umane. [Il confronto con la vicenda dei cinque miliardari morti in un sottomarino per un capriccio è quasi inevitabile e dolorosissimo, perché mette in evidenza il doppio standard dell’occidente, disposto a mostrare umanità soltanto di fronte a portafogli pieni e pelle chiara.]
Il recente decreto Piantedosi deresponsabilizza ancora di più il governo, colpevolizzando gli scafisti che molto spesso sono persone a loro volta in fuga ricattate e costrette a svolgere questa funzione. Il decreto aggiunge altri paesi alla già aberrante lista dei paesi sicuri per le persone lgbtqia+, rendendo inaccettabili nei fatti persone che scappano da tali paesi e abolirà la protezione speciale per come è adesso, che è uno strumento più flessibile dell’asilo politico che copre i casi di persone che non appartengono all’opposizione politica ma che sono comunque in pericolo nei paesi di origine, come appunto le persone lgbtqia+. La protezione speciale diventerà di un solo anno e rinnovabile una sola volta, dopodiché senza un lavoro le persone verranno cacciate. Anche persone ormai radicate sul territorio da anni potranno essere cacciate, ignorando la libertà di autodeterminazione e di decidere liberamente di dove vivere la propria vita.
Viviamo un periodo storico inedito. Il neofascismo di questo governo si ispira direttamente allo squadrismo eversivo degli anni di piombo. Quella destra estrema che già da allora si è organizzata contro la libertà di autodeterminazione femminista e frocia. A Bologna conosciamo bene quel periodo, abbiamo vissuto le bombe alla stazione e l’impunità ed è proprio da qui che sentiamo forte l’urgenza di affermare: NON PASSERANNO!
Di fronte agli attacchi delle destre al governo sul piano internazionale una risposta singola non può essere sufficiente: è per questo che serve porsi in alleanza transnazionale con tutti i movimenti che lottano contro ineguaglianze sociali e per la difesa del territorio dal capitalismo estrattivista e colonialista, in linea di continuità con il movimento femminista e no global da cui proveniamo.
Senza paura marciamo ancora e non ci fermeremo perché siamo consapevoli del compito che la storia ci consegna generazione dopo generazione: la resistenza e la lotta per una vita migliore, libera da povertà e libera da violenza. cambiamo tutto!