Tre giorni contro la repressione e la normalizzazione dei corpi – intervento 1

Tre giorni contro la repressione, la normalizzazione e le nuove forme di disciplinamento dei corpi.

Bologna, 10-12 ottobre 2008.

 

Sessione 3 – Tras/lesbo/omofobia come espressione di violenza, sessismo e ridefinizione del patriarcato. Sala del Baraccano, 12 ottobre 2008

"La ricerca e le lotte contro trans/lesbo/omofobia condotte in questi anni possono/devono intrecciarsi con il lavoro operato dal movimento lesbofemminista sul tema violenza, sessismo, razzismo.

La messa in crisi del patriarcato ad opera delle soggettività femministe e lgbtiq ha generato una reazione violenta e una ridefinizione delle strutture sociali che lo sostengono. La contestazione del potere maschile- eterosessuale ha aperto spazi per le soggettività altre, ma cionondimeno non è cessata la violenza, né il tentativo di riaffermare incessantemente quel potere.

Importante in questo senso anche il dibattito suscitato dai primi gruppi misti (gay-bi-trans-queer) sulla costruzione del maschile e la critica della violenza sessuata."

Intervento a cura del Laboratorio Smaschieramenti – Bologna

(Alessia Acquistapace)

 

Smaschieramenti è un laboratorio sul maschile composto da persone di ogni genere e orientamento, ci sono anche donne, ci sono state trans, persone che hanno attualmente relazioni eterosessuali e omosessuali ecc.

Mi perdonerete se in questo intervento parlerò a lungo di noi, del laboratorio: c’è uno slogan, mi pare delle donne di Trama di terre, un’associazione di donne italiane e migranti, alla manifestazione del 24 novembre scorso, che dice: "La violenza contro le donne non ha colore, né etnia né religione, ha solamente un sesso" E possiamo aggiungere che la violenza contro lesbiche, gay e trans non ha colore, ma ha solamente, o prevalentemente, un genere, che è quello maschile. E’ in questo senso che pensiamo che l’esperienza di un laboratorio sul maschile possa essere interessante per l’argomento di questa sessione.

Per noi quella della violenza contro le donne, lesbiche, gay e trans, è un emergenza virilista, e noi cerchiamo di smaschierare-smascherare e quindi neutralizzare il virilismo.

Il laboratorio non è un gruppo di autocoscienza, ha avuto da subito l’obiettivo di agire pubblicamente e politicamente.

Però di fatto per riflettere sul maschile siamo partite da noi, dalle nostre esperienze – e da dove sennò?! Ci siamo accorti/e anzi che senza partire da sé non riuscivamo a ragionare, che ciò di cui stavamo parlando ci sfuggiva continuamente di mano. Ci siamo accorte anche (uso il maschile e il femminile indifferentemente per i plurali) che il desiderio che ci spingeva a partecipare era tanto quello di cambiare le cose quanto quello di cambiare noi stesse e noi stessi.

Smaschieramenti è nato la scorsa primavera da un’idea del collettivo Antagonismogay di Bologna, e risponde a un’esigenza nata con la manifestazione delle donne del 24 novembre 2007.

In quell’occasione le donne hanno deciso di fare un corteo di donne, senza uomini, e non hanno fatto eccezione per i compagni gay.

Dunque anche i gay sono uomini?!

I compagni di Antagonismo hanno ritenuto che quella manifestazione interpellasse le altre soggettività: gay, bisex, trans, queer e eterosessuali non conformi ai modelli eterosessisti… Tutte soggettività che sono in qualche modo implicate nel maschile e nella sua costruzione sociale e culturale, tutte possibilmente complici.

In realtà come ho detto nel laboratorio ci sono anche donne e lesbiche: perché noi non siamo estranee alla costruzione del maschile, tutte abbiamo a che fare con i maschi, e con l’immaginario maschile dentro e fuori di noi. E il fatto di essere uno spazio misto è stato per noi motivo di arricchimento. Antagonismogay in questi anni ha creato molti momenti culturali e ludici nei quali la presenza mista non si traduceva nello spazio neutro del maschile-eterosessuale, ma creava davvero, anche solo per una serata, un mondo abitato dalla molteplicità dei generi. Questa dinamica positiva l’abbiamo ritrovata anche nel laboratorio.

La riflessione del laboratorio è partita con i maschi, in particolare i gay, che si domandavano quali fossero le proprie complicità con la violenza maschile (a tutti i livelli, anche i più impliciti, nascosti)

Ma poi abbiamo pensato che il 24 novembre andasse oltre questo, e che interpellasse gli uomini non tanto in direzione di una presa di distanza dalla violenza maschile, quanto piuttosto di un assunzione. Assumere la violenza agita come un problema del proprio genere. Proprio come fanno le donne con la violenza subita.

Assumere quindi la violenza come un problema di genere, un problema del genere maschile.

Ma il problema è proprio che il maschile fatica a pensarsi come genere. Il maschile è esattamente ciò che non viene mai definito per poter definire tutti gli altri e le altre.

Quindi uno degli intenti del laboratorio Smaschieramenti è rafforzare e moltiplicare gli sguardi eccentrici sul maschile.

L’idea è che ci siano molti modi in cui individualmente ognuno e anche ognuna di noi cerca ogni giorno di criticare, distanziarsi, ricollocarsi rispetto al maschile eterosessuale dominante, ma il passo che sentivamo di dover fare era quello di mettere in comune queste pratiche micropolitiche e dargli voce, dargli appunto un senso politico.

In tutto ciò il nostro obiettivo non è creare un altro maschile ‘buono’, alternativo all’altro.

Anzi, proprio ragionando su questo ci siamo accorte che sentiamo il bisogno di uscire dai binarismi: maschile/femminile, omosessuale/eterosessuale, attivo/passivo… Non vogliamo semplicemente ribaltare queste categorie, non ci basta nemmeno rivendicare un continuum di posizionamenti fra le due polarità. Noi vorremmo poter esistere anche al di fuori di questa linea retta tracciata tra due poli comunque imposti e convenzionali, poterci collocare altrove, essere qualcosa di altro, non qualcosa a metà, o a tre quarti… fra i due poli.

L’esperienza delle/degli intersessuali è emblematica a riguardo.

D’altra parte i modelli maschili e femminili esistono, e si sono rigenerati e riadattati alla contemporaneità (noi non siamo tanto convinte che il maschile sia in crisi). Nessuno/a di noi può pensare di far finta che questi modelli non esistano semplicemente dichiarando il tramonto delle identità, o operando una decostruzione puramente intellettuale.

Una socializzazione diversa per i maschi e per le femmine esiste, è esistita dolorosamente nelle nostre vite, quindi noi parliamo assolutamente da soggetti situati, come diceva Nicoletta ieri.

Il nostro desiderio è di uscire dai dualismi – se poi si debba arrivare fare senza le categorie di genere, se si debbano invertarne sempre di nuove per ingolfare la macchina o se si debba lottare per tenercele strette… non lo sappiamo! stiamo discutendo molto su questo.

Però per esempio nel laboratorio ci siamo accorte che anche noi (qui intendo "noi" froce) riproduciamo i dualismi e gli stereotipi. Per esempio quando, di fronte al raro spettacolo di un maschio non eterosessista, o che non veste i caratteri della virilità tradizionale, subito gli appioppiamo l’etichetta di gay, o al massimo di non-ancora-gay. "Quanto ci metterà a capire che è gay ‘sto qua?!"

In questo modo, noi stesse parliamo una lingua che nega possibilità di esistenza a una soggettività maschile eterosessuale non conforme, non eterossessita o come la vogliamo chiamare.

Ho detto soggettività maschile "eterossessuale", anche se in genere quando uno (o una) mette seriamente in discussione il maschile (il femminile), poi finisce per mettere in discussione anche la "monosessualità", e quindi non esclude dal proprio desiderio le persone del proprio sesso, e quindi forse non si può più dire "eterossessuale" a livello di attitudini sessuali… Ma insomma questo non vuol dire che dobbiamo forzare simbolicamente le persone di sesso maschile che non vogliono vestire la virilità normativa a indossare l’identità gay. Perchè questo è quello che fa esattamente il discorso eteronormativo: o sei un vero uomo o sei una checca.

Vorremo creare uno spazio di identità includente, freak, queer… come volete chiamarla… che sia includente per tutte/i quelli che si vogliono collocare criticamente rispetto all’eteronormatività.

E al di là della discussione su cosa dobbiamo farne delle categorie – gettarle alle ortiche o tenercele strette – abbiamo pensato che, di fatto, le esperienze, le lotte, le pratiche di alcune realtà del movimento gltq che sono qui oggi sono diventate molto più includenti, miste, senza rinunciare alle proprie differenze. Pensiamo alla Breccia, all’incontro con Leslie Fainberg all’atlantide, che io personalmente ricordo con molta emozione…

Renato ha detto ieri che non possiamo più ingenuamente pensare che il solo fatto di essere lesbiche gay trans queer sia sovversivo di per sè, ma che semmai ci assegna un potenziale, un gradiente di sovversione e trasformazione che possiamo o meno agire e dispiegare.

La nostra idea è che il movimento gltq, piuttosto che rivendicare diritti per una o più ‘minoranze’, possa proporre a tutti e a tutte il tentativo di un progetto generale e alternativo di vita sociale, una liberazione per tutte/i.

Ad esempio ieri si parlava dell’idea di creare reti di auto aiuto e di sostegno degli aspetti anche più materiali delle nostre vite, che siano alternative concrete alla famiglia patriarcale, come diceva Renato… o dell’idea di valorizzare e raccontare quelle che già esistono, come diceva Elena: ecco questo è un progetto alternativo al familismo patriarcale, alla coppia coniugale o simil-coniugale, che parla a tutte e tutti.

La prospettiva mista (e non idifferenziata) del nostro laboratorio vorrebbe andare in questa direzione, e noi almeno in questi mesi abbiamo sperimentato che questa prospettiva funziona, ci piace nel senso che diceva Luki prima, ci sta bene addosso, ci arricchisce.

 

 

 

Per tornare a occuparci più da vicino del tema di questa sessione:

Il patriarcato è davvero in crisi? Stiamo assistendo ‘solo’ alla reazione violenta del macho che si sente provocato e minacciato dall’insubordinazione femminista-gay-lesbica-trans? O dall’insubordinazione dei migranti, soggetti ex coloniali che invadono il suolo patrio?

 

O è (anche) qualcosa d’altro, per esempio, normalizzazione galoppante?

– Dobbiamo diventare tutti maschi di successo che ce l’hanno duro ma che hanno la pelle liscia, uomini che non devono chiedere mai al punto che si prendono addirittura cura del proprio corpo.

– Dobbiamo diventare tutte donne di successo, fighe, magre, sempre giovani ma anche capaci di guidare un macchinone e soprattutto determinate a lavorare 12 ore al giorno per fare carriera e comandare…

Noi non crediamo che la femminizzazione-omosessualizzazione dell’immaginario del consumo sia indice di una crisi del maschio, tutt’altro.

Il mercato – sia quello del consumo che quello del lavoro – incitano alla femminilizzazione, all’omosessualizzazione, al giovanilismo proprio per aumentare i consumi e aumentare lo sfruttamento: come dire, niente di lusinghiero per le donne, per gli omosessuali… che infatti nonostante ciò continuano a essere menate/i dentro e fuori dalle case.

 

Questo è un primo punto che proponiamo alla riflessione. Il secondo è che negli ultimi anni c’è questo fenomeno strano che ci rubano le parole, i segni.

Hanno iniziato chiamando le guerre missioni di pace. Poi pensate a come la parola violenza è stata snaturata: ormai in questo paese fischiare un politico è violenza! "Violenza inaccettabile" dicono quando gli esprimono solidarietà, a uno che è stato fischiato, mica malmenato. Persino le donne del 24 novembre sono state definite violente perché hanno occupato il palco di La7 ! Ormai si chiama violenza l’insubordinazione sociale. E’ un problema serio questo, che ci rubano le parole.

E con lo stesso meccanismo anche alcune immagini, alcuni segni ci sono stati sottratti: per esempio, è venuto meno il paramentro sopracciglia. La depilazione maschile non è più segno di una critica alla virilità, anzi è segno di massima conformizzazione a una virilità moderna, alla moda, al passo coi tempi. Al tempo stesso, il modello del gay palestrato viene proposto/imposto a tutta la categoria appunto perché è uno che consuma di più, spende di più.

Forse è un po’ con lo stesso meccanismo che ultimamente hanno cercato di trasformare la violenza di genere in questione di ordine pubblico, ad esempio con la proposta di polizia gay friendly che ribadisce che gay vuol dire debole, bisognoso di protezione.

 

 

Il laboratorio ha prodotto un questionario un po’ serio e un po’ no sul desiderio (del) maschile distribuito durante la tre giorni, durante le iniziative di Antagonismogay e in altri spazi della città. Ha curato anche alcune pagine sul quotidiano Liberazione (uscite dell’1-8-15-22-29 agosto, disponibili on line e presto su questo blog).

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