Violenza e costruzione del maschile: dal soggetto del dominio alle soggettività incarnate.
Di Renato Busarello. Pubblicato su Liberazione il 1/8/08
La manifestazione di donne del 24 novembre 2007 ha radicalmente posto il rifiuto della violenza maschile: nelle forme dirette dello stupro, nelle strutture sociali e disciplinari in cui è inscritta come dominio maschile; nelle strumentalizzazioni politiche che sull’emergenza stupri alimentano razzismo e risposte securitarie.
La ribellione aperta di lesbiche e femministe interpella e chiama in causa le altre soggettività: gay, bisex, trans, queer, etero non conformi ai modelli eterosessisti. Tutte in qualche forma implicate nel maschile e nella sua costruzione sociale e culturale e quindi complici di una cultura di sopraffazione e violenza, che si perpetua in forme tradizionali oppure metamorfiche e dissimulate. Le complicità sono fatte a volte di piccole cose: sguardi, parole, gesti, omertà, silenzi.
Il modello eterosessuale normativo e riproduttivo, il ruolo sociale che comporta è stato e, per alcuni aspetti, continua a essere luogo di potere e privilegio. Tuttavia lo si occupa pagando un alto prezzo alla propria libera autodeterminazione sociale e sessuale.
Molti gay, molti maschi non eterosessisti, molti queer, trans e bisex hanno fatto i conti con i rigidi e arcaici modelli della solidarietà maschile e della costruzione della mascolinità, hanno attuato resistenze, spostamenti, conflitti, spesso in solitudine.
Con il rischio di pensare però, che il solo fatto di essere diversi, minoritari, colti o "moderni", ci esenti dalle complicità maschiliste, come se non esistesse una soggettività gay, bisex, queer alleata con il maschilismo, o bastasse rifiutarne le forme più palesi e volgari per liberarsene.
L’interpellazione indiretta, indotta dall’essenzialismo strategico adottato dalla manifestazione del 24 ha innescato (o avrebbe potuto innescare nei più accorti) una domanda: chi sono io per te?
Ovvero, se fino a quel punto sembrava costituita una, per certi versi inedita, alleanza femminista-glbtq innestata sulle nuove politiche di genere, la parte gbtq, per non parlare dei "compagni maschi", veniva improvvisamente schiacciata fuori contesto, respinta nel maschile e doveva interrogarsi sul suo statuto "ambiguo".
Raccogliendo questa domanda e iniziando a interrogarsi su di sé, il collettivo antagonismogay di cui faccio parte, ha dato vita a Bologna all’esperienza del Laboratorio Smaschieramenti.
Non che delle risposte (o almeno interrogativi) non fossero venuti negli ultimi trent’anni, specie dal movimento omosessuale.
I processi di trasformazione della vita quotidiana nel secolo scorso, sotto il dirompente procedere critico e pratico dei movimenti (femminista, omosessuale, dei giovani proletari, operaio), hanno modificato radicalmente le relazioni tra i generi sessuali e le classi sociali, rovesciando i rapporti di subordinazione gerarchica, delle donne e dei giovani ai padri maschi, rompendo la complicità delle madri alle forme patriarcali; cambiando la visione fondamentalista-naturalizzante della sessualità che la considerava solo nelle sue variabili biologiche di uomo e di donna, e non, nelle sue varianti e scelte mutevoli culturali(omosessuale, lesbica o transessuale o transgender etc.).
Proprio negli anni settanta l’utilizzo delle strategie di femminilizzazione adottate dal movimento gay, ovvero la comparsa sulla scena politica della checca travestita, va compresa in questa logica di smarcamento dal maschile. Non è affatto folcloristica, né relegabile alla fase infantile del movimento gay maschile, come spesso si è detto in seguito.
Dice Valery, storic* attivist*, parlando dei primi anni settanta, quando iniziava a travestirsi da donna: "in realtà mi vestivo da femminista: erano gli anni della contestazione, dei movimenti giovanili e io ero una femminista vestita da femminista…". Un passaggio che ricorre nelle memorie del FUORI, che a partire dal 1971 e dalla contestazione del convegno psichiatrico di Sanremo, innescò il movimento LGBTQ in Italia. Anche Mario Mieli, la travestita che, spesso ci dimentichiamo, è a oggi la figura di maggior rilievo della storia del movimento gay si travestiva da femminista. La strategia di femminilizzazione era usata dal FUORI come piacere personale e come provocazione politica (Corrado Levi racconta delle irruzioni en travestì ai congressi di Lotta Continua). Politicamente rappresentava la secessione dal maschile-maschilista e eterosessista. Nello specifico, sono portato a leggere il travestirsi da femminista come una strategia mimetica per accedere al punto di enunciazione delle pratiche discorsive e sociali proprie delle femministe. Da quel punto e da quelle pratiche si è innescato il movimento frocio: dalla messa in crisi dell’universalismo maschile eterosessuale, della eterosessualità riproduttiva obbligatoria, della dicotomia oppositiva e gerarchica dei generi e dei sessi, della divisione iniqua del lavoro e della ruolizzazione sessuale, discorsiva, sociale.
Ogni omosessuale sa, se riesce a riconoscerlo almeno con sé stesso, di potere in ogni momento passare da etero. Si tratti di un colloquio di lavoro o di un rapporto con le istituzioni, sa di poter accedere a quella posizione universale di soggetto che gli da più potere, più possibilità di essere preso in considerazione. Ma implica il risvolto di una complicità con le strutture maschiliste e eterosessiste, le rafforza e sostiene. Implica una connivenza con lo stupro e la sopraffazione che non è mai stata, né mai sarà accettabile moneta di scambio per un nostro riconoscimento da parte del potere. Tanto più oggi, in una fase di netta recrudescenza della violenza sociale contro le donne e le soggettività LGBTQ, che si aggiunge alla silenziosa, massiccia e omertosamente taciuta violenza disciplinare, costitutiva della famiglia e di altre istituzioni (penso alla scuola, ai luoghi di lavoro, all’industria culturale e dell’informazione).
Ora, se è vero che solo le donne possono divenire femministe e la nostra ripetizione mimetica ha prodotto e produce degli spostamenti e delle dissonanze, è altresì vero che un movimento gay che eluda, non tanto la propria genealogia femminista, ma la specifica questione dello smarcamento dalla violenza e dal dominio maschile, non può che essere un raddoppio del maschile. Ovvero qualcosa di cui facciamo volentieri a meno.
All’inizio di questo secolo XXI, siamo stati sorpresi da questo ritorno di rimosso arcaico maschilista e sessista, una violenta reazione contro i mutamenti prodotti dalle rivoluzioni culturali di generi o transgeneri non dominanti, non sessisti e non maschilisti. Le cronache di questi anni ci presentano tragici casi di violenza sulle donne ma anche su altri generi sessuali minoritari. Una lunga scia di aggressioni, stupri, omicidi che attraversa le nostre città.
Queste reazioni violente, agite da uomini, sono da considerarsi un ritorno ad una visione patriarcale, autoritaria e maschilista del ruolo delle donne e a una visione restrittiva e biologista della sessualità. Da dove viene questa recrudescenza eterosessista e patriarcale?
Pensare che le violenze provengano solo dagli stranieri, come recita il discorso securitario-razzista, risponde ad un meccanismo di rimozione e proiezione o peggio di falsa coscienza che occulta le violenze di cui i maschi occidentali sono spesso partecipi (gran parte delle violenze sui minori o degli stupri sulle donne avvengono in famiglia o in contesti amicali privati).
Non possiamo quindi aggrapparci al fatto che spesso questi maschi immigrati vengano da contesti patriarcali- tradizionali (anche se questo fa sicuramente problema).
Dobbiamo saper leggere le discontinuità anziché affidarci alle rassicuranti categorie di lungo periodo: "patriarcato" copre tutte le società a ogni latitudine negli ultimi 5000 anni e rende conto di strutture profonde, ma certamente non ci permette un’analisi raffinata degli strati più recenti e di regimi specifici).
Ne La volontà di sapere, Michel Foucault riconosce che in ogni società le relazioni sessuali danno luogo a forme stabilizzate di matrimonio, parentela e trasmissione dei nomi e dei beni. Tuttavia distingue da questo dispositivo di lungo periodo, che regola i rapporti tra i partner sessuali, e la sessualità riproduttiva (lasciando sullo sfondo del contronatura tutto il resto, un nuovo dispositivo di potere, il dispositivo di sessualità, che incita, insegue, insedia e intensifica i piaceri anormali. Quest’ultimo è espansivo, produttivo e agganciandosi sempre sulle istituzioni disciplinari (famiglia), mette fuori gioco il dispositivo di alleanza.
Tuttavia il dispositivo di alleanza continua incessantemente a riprodursi e intrecciarsi con il nuovo paradigma.
E’ dentro/contro al dispositivo di sessualità che si colloca la proliferazione delle soggettività glbtq, la moltiplicazione e incorporazione dei generi, la sperimentazione di nuove configurazioni della soggettività in un gioco di ribaltamenti e controsoggettivazioni. E’ lo spazio abitato dalle soggettività glbtq, ma anche dalle soggettività femministe e di maschi etero sganciate dal paradigma dell’alleanza.
E’ in questo spazio biopolitico che si affermano, in un incessante interazione con il reticolo di biopoteri, nuove forme di vita, relazione, affetto che oggi giungono potenzialmente a configurare nuove forme di parentela e di alleanza non patriarcali. Vi si innesta un immaginario del maschile femminilizzato e omosessualizzato, anche se sappiamo bene quanto questi vuoti simulacri dell’omosessualità fashion e del maschio metrosexual possano essere proiettati sul cadavere putrescente del soggetto maschile appena dissimulato.
Le forme ambigue della femminilizzazione e l’incitamento all’indifferenziato sessuale che provengono da un capitale nomade, anch’esso agganciato al dispositivo di sessualità, vanno interrogate criticamente.
La rotazione tra i due dispositivi genera un nuovo tipo di violenza: laddove il dispositivo di sessualità incita alla mutazione, al divenire polimorfo, il dispositivo sottostante lancia una promessa di identità certe e definite, di regole immutabili e naturali, di ruoli naturalizzati, di un mondo in cui le cose stiano al loro posto. Il profondo contrasto di codici genera reazioni incontrollate e violente, soggettivazioni arcaiche ma rassicuranti. Anche perché il codice del dispositivo si alleanza sostiene un incitamento a ripristinare l’ordine naturale violato.
Prendiamo gli episodi di bullismo giovanile, rivelatori di una crisi d’identità nelle nuove generazioni, con il riapparire di una mentalità sessuofobica, che coinvolge entrambi i sessi. Sembra paradossale che queste soggettività in divenire vivano con spavento le avvenute trasformazioni e le pubbliche emersioni di nuove identità culturali e sessuali, che non garantiscono certe e naturali identificazioni;questi o queste, per porre termine alle loro inquietudini, per riaffermarsi dominanti, vanno ad alimentare quella reattività integralista religiosa e politica della nuova destra nazi o forzanovista, leghista che sono responsabili socialmente di praticare e giustificare violenze individuali o collettive contro i diversi-sessuali.
Uno degli effetti delle retoriche e tecnologie della sicurezza è quello di impedire ai soggetti sotto attacco -e potenzialmente tutti siamo sotto attacco- di spostarsi dal piano difensivo-resistenziale (che paradossalmente è comune a entrambi i poli del meccanismo securitario: la mobilitazione del controllore diffuso è innescata dalla paura e dal senso di accerchiamento e produce senso di paura e accerchiamento) a quello della trasformazione sociale o dell’individuazione dei reali fattori di insicurezza sociale. Che andranno cercati nella precarietà del lavoro, nell’indebitamento individuale, nella perdita di potere di acquisto.
Il dispositivo securitario si mostra così come una sorta di piano falsato, che detourna e scarica le paure sociali e le contraddizioni del sistema produttivo sui soggetti minoritari, producendo un effetto di normalizzazione sociale e di pesante regressione politica e culturale.
In questo contesto, anziché inseguire le retoriche securitarie sul loro terreno, e chiedere maggiore protezione, è forse possibile e necessario allargare la consapevolezza di uno scarto di paradigma.
Accogliere le paure e le insicurezze identitarie diffuse in un tessuto che offra nuove identificazioni, costruire luoghi di produzione e proliferazione di soggettività non conformi e non identitarie.
Vincere la paura e lanciarsi in un divenire altro.
Con questo laboratorio vorremmo intercettare, se esiste, un bisogno di ridefinizione diffuso anche tra maschi etero non eterosessisti, che cercano nuovi linguaggi e posizionamenti per marcare la loro alterità.
Riaprire collettivamente per la soggettività gay contemporanea, ma anche per quelle maschile non eterosessista, trans, bi e queer, la questione di quali pratiche micropolitiche rendano visibile la critica al maschilismo nella vita quotidiana, di cosa facciamo concretamente per marcare la nostra alterità rispetto ai soggetti, discorsi, tecnologie, dispositivi, istituzioni che lo sostengono e riproducono in forme nuove e dissimulate attorno/dentro di noi. Riallacciare relazioni e pratiche comuni tra chi, come le donne e lesbiche, ha storicamente contestato tali costruzioni, e con gay, transessuali e transgender, che hanno attaccato per primi i ruoli sessuali e sociali imposti.
Con questo laboratorio intendiamo aprire un percorso politico pubblico per mettere in comune questi saperi e resistenze, pratiche e immaginari, in modo da rafforzare i molteplici divenire/altro che attraversano il genere maschile come punto di partenza, modello da decostruire o punto di arrivo. Rafforzare le trasversalità degli sguardi eccentrici sul maschile, significa distruggere lo sguardo maschilista, coloniale e eterosessista che sostiene lo stupro, la misoginia, l’omo-lesbo-transfobia e il razzismo.