Espropriatǝ – intervento a Queers for Palestine

Durante l’evento Queersforp4lest1ne al Circolo Hex, Sheela-Nah-Gig ha portato un intervento potente e giusto. Lo condividiamo (grazie compagna!)

Ricordiamo di firmare l’appello di Queersinpalestine – citato anche nel testo qui sotto.

 

Espropriat3 – Espropriazione è ciò che subiscono le popolazioni che perdono la loro terra, la loro cittadinanza e i mezzi di sussistenza, che subiscono violenze militari e giuridiche con soprusi quotidiani.

L’espropriazione svela il modo in cui i corpi sono materializzati e de-materializzati attraverso
la schiavitù,
la colonizzazione,
l’apartheid,
l’alienazione capitalista,
le politiche sull’immigrazione,
la normatività in materia di sesso e genere,
la sorveglianza e le azioni repressive delle forze dell’ordine e quelle militari.

D’altra parte, il possesso di terre e beni è senza dubbio storicamente centrale nella formazione di un soggetto umano inteso come sovrano, le cui caratteristiche sono l’essere proprietario, capitalista, colonizzatore, maschio cis, eterosessuale, bianco e occidentale.
L’affermazione che ogni individuo sia proprietario del proprio corpo è ugualmente un concetto fondante del pensiero liberale. Tuttavia, vi sono corpi che sono esclusi da questo diritto.
Ci sono corpi che hanno bisogno di trascrivere il proprio nome sul braccio per essere eventualmente identificati sotto le macerie, i corpi dei palestinesi sotto attacco.
Ci sono corpi a cui viene intimato di spostarsi a nord poi a sud della striscia di Gaza con bombardamenti a tappeto durante la notte negli edifici e mirati agli ospedali durante il giorno, in uno schema comunicativo in cui salta la linea telematica e si spargono volantini dagli elicotteri con dei percorsi da seguire.
Ma questi corpi non fuggono, non ci stanno al gioco sanguinoso e grottesco. Restano. E continuano a parlarci ogni giorno. Con un saluto comune: “Ciao, mi chiamo Bisan / Motaz e sono ancora in vita.” È quello a cui stiamo assistendo da un mese a questa parte sui social.

Il gioco dell’ espropriazione è esasperante. Ci mette al centro di una contraddizione che come l’uroboro si morde la coda all’infinito.
Alla base, il soggetto sovrano decide chi deve restare e dove, chi deve abbandonare e cosa.
Chi deve restare negli ultimi posti di un mezzo di trasporto pubblico.
Chi deve abbandonare la casa, la terra in cui è nata e cresciuta.
Una rete di privazione e sfruttamento che ha dato vita a un concetto di possessione di terre e corpi pericoloso, che lede e manipola il concetto di libertà.
Una rete che alimenta una retorica fascista, “Il diritto a Israele di difendersi”, “Il diritto alle donne di non abortire”.

La logica dell’espropriazione infatti è interminabilmente cartografata sui nostri corpi. “Corpi-negli-spazi” che seguono delle matrici normative, producendo delle soggettività particolarizzate che seguono parametri di etnia, genere, orientamento sessuale, classe sociale, religione, status relazionale ed economico.
Soggettività che a seconda delle combinazioni si ritrovano nella peggiore delle ipotesi spogliate di qualsiasi diritto di autodeterminazione e desiderio.

La disobbedienza spezza questo gioco, questa cartografia e mette altro in campo: il rifiuto di un ruolo assegnato dall’alto di un potere imperialista, capitalista, colonialista e patriarcale. Un atto di liberazione che ha come fine il ricollocarsi autonomamente negli spazi della propria terra e del proprio corpo.

È così che dopo l’espropriazione c’è un atto di riappropriazione.

È così che ci si mette in contrasto al rainbow-washing israeliano e adottiamo la linea della Palestina Queer, imparandone le pratiche di resistenza!
È così che la lotta queer transfemminista propone il proprio lessico scomodo e complesso.

Leggo degli estratti dal profilo @queersinpalestine (IG)

« Stiamo combattendo sistemi di oppressione interconnessi, tra cui il patriarcato e il capitalismo, e i nostri sogni di autonomia, comunità e liberazione sono intrinsecamente legati al nostro desiderio di autodeterminazione. Nessuna liberazione queer può essere raggiunta con il continuo insediamento dei coloni, e nessuna solidarietà queer può essere incoraggiata se si resta ciechi di fronte alle strutture razzializzate, capitaliste, fasciste e imperialiste che ci dominano. Chiediamo agli attivisti e ai gruppi queer e femministi di tutto il mondo di essere solidali con il popolo palestinese nella sua resistenza allo sfollamento, al furto di terre e alla pulizia etnica e nella sua lotta per la liberazione delle sue terre e del futuro dal colonialismo sionista.
A questo appello non si può rispondere solo condividendo dichiarazioni e firmando lettere, ma attraverso un impegno attivo nelle lotte decoloniali e di liberazione in Palestina e nel mondo. Le nostre richieste non negoziabili sono le seguenti:
Rifiuta i finanziamenti israeliani, rifiuta le collaborazioni con tutte le istituzioni israeliane e unisciti al movimento BDS. Sciopera: Silenziosamente o pubblicamente, rifiutate che il vostro lavoro sfruttato venga utilizzato per mettere a tacere l’attivismo palestinese o per finanziare, sostenere e approvare la colonizzazione militare e il genocidio dei coloni.
Fai quello che i queer anticoloniali hanno fatto per decenni, rivendica la narrazione e stabilisci i termini del discorso, questa volta sulla Palestina. Ciò che sta accadendo in Palestina è un genocidio. Israele è una colonia. Quella palestinese è una società militarmente occupata e colonizzata. Secondo il diritto internazionale , Israele non ha il diritto di “difendersi” dalla popolazione che occupa, mentre i palestinesi hanno il diritto di resistere alla loro occupazione. Chiedere il cessate il fuoco è il primo passo per ritenere Israele responsabile dei suoi crimini contro l’umanità. Dobbiamo anche chiedere la rottura dell’assedio di Gaza e lo smantellamento delle colonie sioniste.

Contatta i tuoi rappresentanti locali per fare pressione su di loro affinché taglino i fondi al genocidio, ponendo fine al loro sostegno militare, diplomatico e politico a Israele.
Prendi posizione contro la continua e complice criminalizzazione della solidarietà con la Palestina e la proiezione coloniale e islamofobica dell’antisemitismo europeo sulle voci palestinesi e razzializzate, come stiamo testimoniando in particolare in Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Germania.
Blocca le strade principali manifestando.
Organizza un sit-in nella tua città. Intralcia l’attività economica, smetti di consumare. L’autocompiacimento è una scelta.

Noi, palestinesi queer, siamo parte integrante della nostra società e vi stiamo informando: dai vicoli pesantemente militarizzati di Gerusalemme alle terre bruciate di Huwara, alle strade sorvegliate di Jaffa e alle traversate delle mura d’assedio di Gaza, dal fiume al mare…
La Palestina sarà libera. »

E allora ri appropriamoci del linguaggio, che ci indichi la strada per costruire una prospettiva oltre le matrici oppressive di questo sistema genocida appoggiato dai nostri governi.
E ricordiamoci, come già diceva Audre Lorde, che non si smantellerà la casa del padrone con i suoi strumenti:
Gli oppressori manterranno sempre la loro posizione ed evaderanno qualsiasi responsabilità.
Chiediamoci anche quali parti dell’ oppressore abbiamo integrato nella nostra esistenza, nei nostri valori. Bisogna avere il coraggio di rimetterci in discussione e capire su quali lati del privilegio ci muoviamo ogni giorno per spogliarcene definitivamente.
Il cambiamento porta crescita, e crescere può anche far male, ma dobbiamo sceglierci tuttǝ insiemǝ per riuscire a definirci nella maniera giusta.
Ridefiniamo noi stessǝ e legittimiamoci con nuovi strumenti, nostri. Non è ciò che ci differenzia a separarci, ma è il nostro rifiuto a riconoscere queste differenze e esaminare le distorsioni che creano nel nostro vivere sociale e che si radicalizzano nel razzismo, nel sessismo, nel classismo, nell’abilismo, nella transfobia.

James Baldwin scriveva che non è un caso che c’è chi ha deciso di conquistare la luna e chi da millenni ci ha ballato al chiarore ammirandola.

Ogni atto di resistenza produce una possibilità di agire intelligibile, una nuova realtà in cui comunità, intersezionalità, rispetto si materializzano in corpi liberi, terre libere.
È la volta in cui questa nuova via la indicano lǝ oppressǝ. Ed è la volta in cui bisogna capire che questo percorso si fa tutti i giorni e tuttǝ insieme senza lasciare nessunǝ indietro. Solo allora potremo ballare sotto la luna. Solo quando la Palestina sarà libera.

 

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